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Postilla » Fisco » Il Blog di Antonio Veneruso » Accertamento, sanzioni e processo Tributario » Verifiche fiscali: l’”effettiva assenza”, può rilevare ai fini del computo dei 30 giorni?

30 ottobre 2013

Verifiche fiscali: l’”effettiva assenza”, può rilevare ai fini del computo dei 30 giorni?

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Il problema della durata delle verifiche fiscali, dispiace dirlo, non ha ancora trovato compiuta soluzione nell’interesse delle parti in causa (Fisco/Contribuente).

Il punto cruciale della questione, che vorrei sottoporre alla vostra attenzione, non è di per se il termine ordinario di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, recentemente legalizzato nei famosi 30 giorni di effettiva presenza, a decorrere dalla data di accesso.

La questione, a mio parere ma non solo, è, invece, un’altra, e riguarda l’eventuale ipotesi di una documentata “effettiva assenza”, magari neanche giustificata in atti dai verificatori, presso la sede del contribuente, registrata sempre a decorrere dalla data di accesso.

Questo aspetto, di non poco conto se verificato, è preso in considerazione da autorevolissima dottrina in materia (vedi Saverio CAPOLUPO ne “Manuale dell’Accertamento delle Imposte – Ipsoa VIII edizione, di recente pubblicazione).

Al riguardo, la richiamata dottrina rileva, in termini generali, che possono esservi casi in cui le norme dello Statuto dei Diritti del Contribuente – Legge n. 212/2000 (reperibile sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate: http://www.agenziaentrate.gov.it/) non siano applicate correttamente, se non addirittura aggirate.

Come esempio più calzante viene portato proprio quello relativo alle cd. “verifiche a rate” (già da noi chiamate in altro post “a singhiozzo”), dovute probabilmente a situazioni contingenti che attengono al carico di lavoro dei singoli Uffici, ad esigenze connesse ad attività di Polizia Giudiziaria, ecc., ecc.

Questa prassi di dilatare a dismisura la tempistica ordinaria delle verifiche esterne, non pare risponde alla volontà del legislatore, ma non solo, che è quella di evitare che il controllo del tutto legittimo si possa trasformare in un danno per il contribuente controllato.

Si pensi, ad esempio, ai problemi che potrebbero derivare al contribuente da un controllo attuato con la suddetta modalità, che si estrinsechi in effetti nel blocco di tutte le funzioni aziendali coinvolte nella verifica fino a che la stessa non giunga a temine e cioè solo dopo diversi mesi dal suo avvio. Ciò anche in considerare che, di regola, durante tutto l’arco temporale della durata della verifica la documentazione acquisita dai verbalizzanti è inibita al contribuente (se non su specifica richiesta), in quanto custodita in armadi chiusi o addirittura in un locale ad uso esclusivo degli ispettori, rendendone  di fatto difficoltosa la consultazione.

Infine, per le verifiche “a rate”, non è da sottacere che tale prassi potrebbe minare ab origine le dichiarate necessità di effettuare l’accesso presso la sede del contribuente, vanificando le ragioni che ne hanno consigliato l’improcrastinabilità dell’intervento, atteso l’evodenza del fatto che il controllo poteva essere avviato  in tempi meno affannosi per il fisco.

In conclusione, pur evidenziandosi la gravità di comportamenti posti in spregio della legge, dalla richiamata dottrina ci perviene una rassicurazione sul punto, essendo stato rilevato un radicale mutamento culturale da parte dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria che va nella direzione della reciproca correttezza, cui devono sempre conformarsi i rapporti tra Fisco-Contribuente. 

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